sabato 11 luglio 2009

Cose che capitano ai morti

Ho saputo dal mio barbiere.

Qualche volta capita, a questa categoria di artigiani, di essere chiamati per fare la barba ad un morto. Si sa, il defunto vuole presentarsi al cospetto di chi lo attende nell’aldilà nel suo migliore “aplomb”.

Il trapassato fresco fresco viene vestito del suo abito più elegante, possibilmente quello da cerimonia. Deve presentarsi all’altro mondo con le pieghe dei pantaloni perfettamente stirate, una camicia candida di bucato, una cravatta di seta, meglio se a farfalla, giacca possibilmente a doppio petto.

Sappiamo che rituali simili vengono celebrati fin dalla notte dei tempi.

Così vestito in tutta la sua eleganza, volete che si presenti al giudizio finale, davanti alla commissione per l’esame di laurea in “Vissutologia” con la barba di due o tre giorni sul viso? Vi immaginate quale impressione negativa si farebbero di primo acchito i commissari di esame di lui che porge al presidente della commissione la sua tesi di laurea dal titolo “Ecco come ho tentato di non farmi prendere per il culo dalla vita, ma non ci sono riuscito” mentre il suo viso, ricoperto di ispida peluria, farebbe intuire un’esistenza trascorsa tra sciatteria e disordine? In tal caso, non potrebbe certamente aspirare al 110 e men che mai al bacio accademico.

E allora, prima di tutto, una bella insaponata al viso e l’opera accurata di un rasoio manovrato da un esperto barbitonsore.

E qui sorge il problema, mi avverte il mio scrupoloso figaro, mentre mi stacca le basette e, con sguardo indagatore, scruta il mio viso dalla distanza idonea per appurare se le suddette basette risultano di pari lunghezza.

Come fare ad eseguire una rasatura a regola d’arte del cadaverico viso?

Il defunto ha esalato l’ultimo respiro, per cui di aria nei polmoni non se ne ritrova più. Non si può quindi pretendere che egli gonfi le gote affinché il pelo si rizzi e venga così reciso alla radice. Tra l’altro le guance risultano anche flosce e smagrite per le sofferenze dell’agonia. Allegria!

E allora?

Una bella domanda, non c’è che dire!

All’angosciata espressione che si dipinge sul mio volto in cui il barbiere di qualità legge l’ansioso desiderio di conoscere la risposta, egli contrappone un malizioso sorrisetto, come di chi sa il fatto suo e la sa lunga più del diavolo. Sempre con quel sorrisetto sulle labbra, che per la verità mi indispettisce un pochino, mi lascia friggere qualche secondo nella mia curiosità, e poi, finalmente, mi gratifica.

Una pallina da ping pong!

Una pallina di ping pong? chiedo esterrefatto mentre il marasma prende possesso dei pochi neuroni che abitano all’interno del mio cranio.

Vede, mi spiega: nel mio bagaglio di attrezzi per interventi esterni, io, tra forbici, tubetto di sapone, spazzole, etc, ho sempre qualche pallina di ping pong. La introduco e la posiziono con cura nella bocca del cadavere, aperta peraltro non senza qualche difficoltà seppur da mani esperte come le mie, ed ecco che mi ritrovo davanti una guancia gonfia e ben stirata con peli irti che implorano “tagliaci, tagliaci, che più rizzati di così non si può.”

Restiamo muti per una buona manciata di secondi, io sentendomi una nullità di fronte a tanta genialità, lui godendosi il trionfo di avermi ridotto ad una pezza pure in tutta la mia sapienza da intellettuale.

Poi mi riprendo perché si fa strada nella mia mente una certezza.

Ma come potrà mai fallire l’azienda Italia, se ci sono a disposizione geniali artigiani come il mio barbiere? Quand’anche tutto dovesse andare male, i barbieri e una pallina da ping pong la salverebbero!

Vangelo secondo ignoto

I Vangeli ci parlano delle traversie che dovette subire Gesù Cristo per redimere il genere umano dal peccato e tutti, più o meno, iniziano da quando il Redentore vide la luce su questa Terra o giù di lì.

Nessun vangelo, neppure tra quelli apocrifi, parla di ciò che era avvenuto precedentemente nell’alto dei Cieli e precisamente di ciò che dovette fare il Padre per convincere il Figlio a farsi una passeggiatina di 33 anni da queste parti.

Io ho trovato un simile vangelo di autore ignoto.

Il Vangelo secondo Ignoto. Ecco cosa narra.

Da un po’ di giorni il Travaglio era presso Dio. Il Travaglio era Dio, il quale andava avanti e indietro a grandi passi nervosi per tutto il Paradiso, scompigliando le nuvolette e costringendo i beati che le abitavano a indossare il paracadute e a reggersi saldamente alle punte di qualche stella fissa, per non rischiare una rovinosa caduta e ritrovarsi per una seconda volta in questo letamaio di Terra.

Sembrava non trovare Pace, assorto com’era in cupi pensieri.

Ad un tratto tutto il Paradiso risplendette di luce eterea perché il Padreterno aveva avuto un’idea: aveva trovato la soluzione al problema che lo assillava.

I beati furono contenti, si tolsero il paracadute e si rassettarono le penne delle alucce; quindi si misero a cercare la cetra che, nel trambusto, s’era perduta nella nuvolaglia.

A passi decisi l’Altissimo si recò dove sapeva sicuramente di trovare il Figlio. E infatti lo trovò all’officina “Primo dicembre” di Sant’Eligio, protettore dei meccanici. Il ragazzo stava truccando ulteriormente il motore della sua 500 targata NA. Napoli..? Nooo, che Napoli?! Nazareth; ma nessuno sapeva ancora perché portasse la targa di quel paese. Lo sapeva solo il Boss, che conosceva il passato, il presente e il futuro. Con quella macchina il ragazzo era solito scorrazzare a tutta velocità per la Via Lattea.

Il Padre lo chiamò:

- Guagliò, esci un momento da sotto a questo catorcio e stammi a sentire.

Gesù uscì da sotto la 500 con la faccia tutta nera di grasso e pulendosi le mani ad uno straccio, si avvicinò al Padre, pensando: “Eccolo qua! C’ha la faccia illuminata. Sarà venuta qualcun’altra delle sue brillanti idee a ‘stu viecchio ‘nzallanuto.”

Tuttavia si dovette mostrare mansueto, perché da un po’ di tempo gli aveva chiesto in regalo un Ferrarino e sperava che prima o poi il Vecchio, che glielo negava, si decidesse a farglielo avere.

- Che vuò? Nun me fa’ perdere tiempo, jamme!

Il Padre, circondandogli le spalle con un braccio, senza temere di sporcare di grasso la candida veste, tanto santa Veronica, la lavandaia, quando le veniva chiesto di lavarla, saliva al settimo cielo, lei che era stata destinata solo al quarto, zona lavanderia, e gli disse.

- Senti un po’. Che ne diresti di fare una passeggiatina sulla Terra?

- Addò? chiese il ragazzo sorpreso. Su quel pianeta inquinato? Ma tu fusse pazzo?

- Non è ancora tanto inquinato. Andiamo, una brevissima passeggiata. ‘Na trentina d’anni.

- Oi pa’, si gghiuto una altra volta a casa di Noè, eh? A chillo le piace ‘o vino, a te manco ti dispiace. Insomma, te si’ ‘mbriacato, n’ata vota?

- Dai, faccio sul serio, continuò il Padre. Sai com’è, c’ho uno scrupolo di coscienza. Ho sbattuto quei poveretti su quel pianeta solo perché mi avevano rubato una mela. Mo stanno ‘nfranzesati di peccato e Satana sta lì lì per farne un sol boccone. Andiamo a redimerli.

- Eh, sì. Hai fatto l’inguacchio, e mo vorresti rimediare. “Faccio l’uomo, faccio pure la donna! Vedrete che capolavoro!” Hai fatto chella monezza di Umanità! Ma lascia che se li magnano i cani a chilli quatto scurnacchiati!

- No, no, non dire così, lo pregò il Padre. Mi sento responsabile. Ché gliela dobbiamo dare vinta a quel cornuto ribelle?

Il Figlio meditò un poco; anche a lui era antipatico quell’angelo comunista che il Padre aveva scaraventato all’Inferno.

- E quando siamo scesi sulla Terra, che cosa dovremmo fare? domandò il ragazzo.

Il Padre imbarazzato, si grattò un po’ il triangolo sulla testa prima di rispondere.

-Veramente… ci andresti… solo tu.

- Papà, tu nun stai bbuono. Me vuò fa’ scendere sulo a me ‘mmieza a chella marmaglia?

- No, stai tranquillo. Io da qua ti controllo. Non ti abbandono mica. Poi trent’anni o poco più di vita laggiù… che vuoi che siano? Passano in un amen. Vedrai, ti divertirai. C’è pure la Maddalena, capisce a mme! Poi tu sai fare quei bei giochetti di prestigio. Resuscitare un morto, moltiplicare i pani e i pesci, trasformare l’acqua in vino. Sbalordirai tutti. Ti divertirai. Solo, alla fine …eh … sarà un po’ fastidioso; ma ‘na cosa di qualche ora.

- Comme ‘na cosa di qualche ora? Perché alla fine… che mi succederà di fastidioso?

_ Ma sì. Cose da niente: qualche scudisciata, un po’ di spine sulla fronte. ‘Na crocifissioncella?

- Oi pa’, ma tu si’ proprio ‘na carogna!? Ma comme, manderesti tuo figlio a morì ammazzato in quel modo?

- Per amore, figlio mio, solo per amore. Oh, e dimmi un po’ una cosa. Io, la guida del Ferrarino la vedrei a destra, che ne dici? Così mi porti un po’ a passeggio per l’universo, io seduto a sinistra e tu alla guida, alla mia destra. Jamme, fai questo sacrificio! Che ti costa? Non è mica tutto questo dolore. Tu sai fare pure quei bei giochi di prestigio; ne fai qualcuno per distrarti, un po’ fai finta di soffrire; pensa che, quando è finito, ti aspetta il Ferrarino. Poi hai l’eternità davanti per godertelo, il Ferrarino. Che sarà mai? Un’oretta, un’oretta e mezza di passione e poi sali su e siedi alla mia destra, nel Ferrarino! E così potrai scorrazzare a tutta velocità tra le più lontane galassie, e salviamo il genere umano dalle grinfie di quel satanasso di un marxista-leninista di angelo ribelle.

- Papà, famme capì. Qua tutti dicono che sei Onnisciente, Onnipotente, Onnipresente e… nun saccio che altro Onni… Ma possibile che, con tutta questa Superscienza, con i Superpoteri che ti ritrovi, non sai trovare un modo nu poco cchiù cristiano di risolvere il problema, per salvare quei figli di buona donna sulla Terra? chiese il ragazzo.

- Vai, vai. Poi, quando torni ti spiego. Adesso non dobbiamo perdere più tempo; è l’anno zero, è il 24 dicembre e sono le 11,35. Tieni meno di mezz’ora per lavarti e prepararti. Io intanto vado a consigliarmi con sant’Eligio per sapere come procurarti il Ferrarino. Tu lo vuoi rosso, eh? A me non è che piace tanto questo colore, ma se a te piace, sia fatta la tua volontà.

E Gesù, a sentire parlare del Ferrarino rosso, che si sognava pure la notte, ma un po’ pure per accontentare quel povero Vecchio che aveva i suoi scrupoli di coscienza, si fece quattro conti, decise che non avrebbe dovuto dimenticare la valigia con i giochi di prestigio, e accettò.

Il Padre, tuttavia, sapeva benissimo che neanche il sacrificio del Figlio avrebbe mai reso l’Uomo migliore; ma volle che fosse attuato quel progetto affinché non si dicesse che nulla aveva fatto per salvare la sua Creatura dalla Selva oscura.

Insomma, il Vangelo secondo Ignoto sarebbe una specie di antefatto a tutti gli altri vangeli.

lunedì 6 luglio 2009

Che fantasia, questi nobili!

Lo scorso fine settimana ho partecipato ad un veglione in maschera organizzato dalla contessa Sofia Sinisgalli Perdifumo nella sua sontuosa magione di Cava de’ Tirreni.

Unico inderogabile obbligo: venire mascherati.

Ho rimediato un vestito da D’Artagnan e mi sono presentato alla festa.

Quanta bella gente! Tutti con almeno tre quarti di nobiltà. Io solo, ignobile fra i nobili. Ma donna Sofia, mia vicina di ombrellone sulla spiaggia di Santa Maria di Castellabate in villeggiatura, dove è proprietaria della più bella casa del villaggio, mi ha fatto sapere che mi aveva invitato perché mi riteneva nobile d’animo. Bontà sua!

E che fantasia hanno questi nobili! Ce ne sono ancora tanti, per fortuna. Il duca Massimiliano d’Isernia è venuto vestito da caterpillar e la moglie ha fatto vedere a tutti come si metteva in moto.

Il baronetto Eugenio era vestito da tanica di benzina, però, siccome è di famiglia nobile ma decaduta, la tanica era vuota.

A festa già iniziata da un bel po’, si sono presentate due signore un po’ mature, ma ancora piacenti. Tutte e due completamente nude. La prima aveva solo una ciliegina candita sull’ombelico.

- Sono una cassatina, ha detto.

L’altra, anch’essa nuda, aveva una cucchiaiata di panna tra le chiappe.

- E tu? le è stato chiesto.

- Sono uno sciù, ha risposto

Ma li mortacci vostri, co’ ‘sto freddo! ho pensato.

Non c’è che dire: sono fantasiosi questi nobili.

Poi, proprio sul più bello, quando una deliziosa giovane pin up mi stava invitando ad un ballo del mattone, ma in una stanza solitaria, in un’ala estrema del castello … mi sono svegliato.

Mannaggia ‘a morte!

Aspettiamo un bambino


Albicocco

Sì. Mia moglie ed io aspettiamo un bambino!

Siamo seduti sotto l’unico frondoso albero di albicocche del nostro giardino. Ci teniamo per mano. Lei ha il respiro leggermente affannoso.

Quante foglie sull'albero! Ormai sono rimasti gli ultimi pochi frutti. Spande una piacevole ombra; la sua chioma ci dà una deliziosa frescura e ci nasconde allo sguardo di chi viene da fuori.

A tratti ci guardiamo negli occhi, io e mia moglie. Io leggo nei suoi un’aspettativa trepida. Lei nei miei legge una ferma certezza. È un maschio! Verrà. Sarà bello o brutto? Che ci importa?! Ci sembra di conoscerlo. Saprà mai con quanta ansia lo stiamo aspettando? Forse non potrà mai immaginarla!

Verrà presto.

Non manca molto tempo.

Di solito viene sempre a quest’ora a rubare le albicocche dall’albero. C’ho un badile a portata di mano. Un badilata in faccia, gli devo cancellare i connotati, per giove!

Questioni di lingua - "Qual'è" o " Qual è"?

Halfatrackfido3 mi ha inviato una e-mail sul mio sito, rimproverandomi perché in alcuni dei miei posts (mi raccomando la esse finale, perché aoh! l’inglese lo dobbiamo rispettare!) io scrivo QUAL È senza apostrofo. Mi ha detto che non devo strapazzare la nostra bella lingua. E io gli rispondo.

Caro halfatrackfido3 (ma chi sei, nu cane semicingolato?!),

QUAL È si scrive senza apostrofo. Ti puoi fidare! Mi sono laureato, (un po’ in ritardo, è vero) due anni fa in lettere classiche con 110 su 110.

Mio signò, io sono il re dell’anacoluto, il principe dell’ossimòro. Io, il periodo ipotetico di terzo grado, lo tiro fuori dalla consecutio temporum, lo spoglio, lo piglio per il collo, lo sbatto di qua e di là, ci aggiungo altri 87 gradi, lo piego (87 +3= 90) e non ti descrivo che cosa gli faccio perché sono un gentiluomo.

Ce l’hai presente l’antitesi? Io me la metto come cravatta. Ne cambio sette al giorno. Nell’armadio ne tengo un campionario che neppure Valentino…

Col troncamento e l’elisione vado in vacanza ogni estate a Santa Maria di Castellabate. E come tratto io il doppio genitivo, modestamente nessuno si permette di farlo. Halfatrackfido3, lo tratto male, perché m’è nu poco antipatico. Cioè, prima lo adulo, me lo coccolo un po’ e poi lo sbatto in cucina a lavare i piatti. E che ci posso fare: tra noi non corre buon sangue!

Con l’enjambment, l’iperbole, e la perifrasi io ci gioco a scopone un sabato sì e uno no e sistematicamente li pelo ad uno ad uno.

La sinestesia, poi, la uso quando non riesco a dormire. La sera me ne prendo quindici gocce e dormo come un angioletto.

Con l’anfibologia mi ci racconto le barzellette sporche.

Ai trapassati prossimo e remoto, invece, faccio dire una messa ogni mese e, ogni domenica mattina, porto un mazzo di fiori e due lumini al cimitero fin dal giorno in cui sono trapassati.

Uuuuh, non ti dico poi quello che faccio il sabato sera, quando non gioco a scopone, dalle 21 alle sei del mattino con l’aggettivo sostantivato, il passato remoto del verbo cuocere e il complemento di causa efficiente. Andiamo in discoteca. È vero, il passato remoto del verbo cuocere è un po’ anzianotto, essendo passato, ma ha il suo fascino, lo esercita specialmente sulle diciottenni. Insomma non pregiudica l’acchiappanza, anzi. Sono orge, amico bello, baccanali!

Io, la grammatica me la sono sposata e la sintassi ce l’ho come amante! E non voglio andare oltre perché ho detto anche troppo. Ti ho voluto solo dimostrare che di me ti puoi fidare. Stai tranquillo, halfatrackfido3: QUAL È si scrive senz’apostrofo.

domenica 5 luglio 2009

Oi dialogoi

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(ovvero: un po’ di filosofia e dintorni, ma più dintorni che filosofia)

Aristotele teneva una lezione… no, non Onassis, quello di Jacqueline; l’altro, quello nato a Stagira qualche po’ di tempo prima. Onassis era miliardario, figurati se poteva pensare alla filosofia. Lo stagirita invece era un povero cristo e da qui la necessità di prendersela con filosofia.

Quindi dicevamo, il buon Aristotele teneva una lezione ad un gruppo di allievi ai quali andava dicendo:

- Ragazzi, ho scoperto che Socrate è mortale e vi dimostrerò come sono arrivato a questa ineccepibile verità.

Nessuno degli allievi osò replicare: Maestro, ma c’è bisogno di dimostrarlo? Ci ha pensato già lui a farlo quando, una settantina di anni fa, s’è bevuta la cicuta! No, nessuno osò fargli notare l’inutilità della sfacchinata cui si era sobbarcato, perché ante Christum natum c’era rispetto per chi insegnava!

- Allora seguitemi con attenzione, disse Aristotele. TUTTI GLI UOMINI SONO MORTALI, SOCRATE È UN UOMO, SOCRATE È MORTALE.

Quella decina di allievi rimase in silenzio per un attimo e poi tutti e dieci fecero la faccia dei bambini che fanno ooohhhh. Di lì a poco, tutti a piangere la morte di Socrate.

La cosa era stata ascoltata anche da un certo Descartes, per gli amici Cartesio, il quale non volle intervenire ed obiettare in presenza degli allievi, perché, a quei tempi, anche i maestri si rispettavano tra loro.

Ma due giorni dopo, acchiappò Aristotele per la collottola e gli disse:

- Neh, Aristò, e tu mica me la conti giusta!

- Ah, no? replicò Aristotele.

- Eh, no, parbleu! Tu mi dici: TUTTI GLI UOMINI SONO MORTALI, SOCRATE È UN UOMO, SOCRATE È MORTALE, e con questo sillogismo credi di aver risolto i misteri dell’universo. Ma vediamo se il tuo metodo gnoseologico è valido. Se io ti dico: I RE DI ROMA SONO SETTE, ROMOLO È UN RE DI ROMA, ROMOLO È SETTE ? Eh, come la mettiamo?

E ancora: tu mi dici: TUTTI GLI UOMINI SONO MORTALI, ed io fino a qua te la faccio passare, anche se potrei già obiettare. Ma quando mi dici: SOCRATE È UN UOMO, e allora mi si rintorcono le budella, perché tu mi passi da “SOCRATE È” a “UN UOMO” senza neppure dire ”volete favorire?”.

Aristotele, che si andava arravogliando di perplessità in perplessità, gli rispose:

- Com’è? Non ho capito.

E Cartesio: - E sì, perché tu prima di affermare che è un uomo, mi devi dimostrare che SOCRATE È.

E Aristotele:- Oh cacchio, non ci avevo pensato! – e si mise a piangere.

Ma Cartesio subito prese a consolarlo:

- No, no, stai sereno, perché che “SOCRATE È” te lo dimostro io-

Aristo: - Ah, sì? E come?

Cartesio - Ecco qui. SOCRATE PENSA, QUINDI È.

E Aristotele smise di piangere, sorrise rassicurato e ringraziò soddisfatto il suo collega.

Ma sfortunatamente per i due, avevo ascoltato la loro conversazione, intervenni, li presi per la collottola e dissi loro:

- Neh, giovanotti! Fermate la carretta! Dove andate con il ciuccio?! Ascoltatemi un momento. Cartè. Tu dici IO PENSO QUINDI SONO. E che correlazione di causa ed effetto c’è tra “il pensare” e “l’essere”? Ugualmente valido sarebbe dire “IO DEFÈCO QUINDI SONO”. Ti pare?

E Cartesio inorridito: - E tu vuoi mettere la volgare azione del defecare, con la nobile e sublime attività del pensiero?

Ed io: - Cartè, ma tu hai mai sentito “pensare” tipi come Mario Borghezio, Roberto Calderoli, Umberto Bossi e altri simili individui di quella razza? Quelli, quando pensano, defècano e non c’è proprio nessuna differenza tra le due attività. Ascoltate me: qui non siamo sicuri di niente. In questo casino di mondo, già se dici “IO” hai detto una cazzata. Figurati quando dici “IO PENSO” e giungi perfino a dire “QUINDI SONO”! Hai detto un cumulo di cazzate!

- Eh, no! - intervenne Aristotele. IO SO DI ESSERE e se sono, ci deve essere Qualcuno che mi ha fatto essere. Di questo sono sicuro. E ne erano sicuri anche Socrate e Platone.

Ed io: - Tu, Socrate e Platone affermate che, se esiste il creato, deve esistere il creatore. Di qui non si scappa. E io dico: E il creatore chi l’ha creato?

Aristotele: - Nessuno. Il creatore è il motore immoto.

Ed io: - E com’è? La legge che, se qualcosa esiste, deve esistere il creatore, vale solo per il mondo di quaggiù? E che facciamo: a chi figlio e a chi figliastro? La legge è legge ed è uguale per tutti! Che è? Forse il creatore è amico di Berlusconi, o forse è proprio Berlusconi, che si fa le leggi per i cacchi suoi, che valgono solo per lui? E poi, sei sicuro che il creato esiste?

Aristotele: - Eh, ma noi siamo qui. Allora chi siamo?

Ed io: - No, tu non ti devi chiedere chi siamo, ma che cosa siamo! Sei sicuro di essere cosa creata? Di esistere? E che vuol dire esistere? Vuol dire forse essere stati creati? E chi l’ha detto?!

Sentite me, più sopra, verso piazza Dante, c’è il Caffè di Diodati. Fa un caffè e una sfogliatella che sono ambrosia e nettare degli dei. Venite con me, offro io, vi faccio deliziare. Nun date retta ‘a filosofia. Mentre vi mangerete la sfogliatella e berrete il caffè di Diodati, veramente potrete dire con sicurezza: IO ESISTO!

... una ed una sola ,,,

Il mio professore di matematica delle superiori ci teneva molto che recitassimo le definizioni senza omettere neanche una virgola. Diceva che, nelle definizioni matematiche, tutti i termini hanno una precisa funzione e non avremmo mai trovato, in nessuna di esse, una parola superflua, né una mancante. La quale caratteristica serviva anche a promuovere il nostro apprendimento di un corretto modo di esprimerci in lingua italiana.

“Per due punti su un piano passa una ed una sola retta”.

E se provavi a dire “Per due punti su un piano passa una retta” Oppure “una sola retta” lui interveniva e sottolineava “una ed una sola retta”.

- Professò, gli domandai un giorno, ma se uno dice “una retta” , non basta?”

Mi rispose: “ Figlio caro, in tutto il mondo basterebbe; a Napoli, no! A Napoli si dice “una” ma poi se ne infila sempre qualcun’altra di straforo e ne riescono a passare almeno un paio. Sai com’è? a Napoli siamo soliti buttarla sul pietoso, per cui la retta dice: Una? E su, qui c’è mio cognato che è un invalido del lavoro. Facciamo passare pure lui.

- No! Una ed una sola!

- Ma mio cognato non è neanche una retta, è nu miezo segmento. Prometto, non darà fastidio. Facciamo passare pure lui.

-Una ed una sola, ho detto!

A quel punto mette mano alla tasca e tu sai bene come vanno le cose.

Tu non ti preoccupare, dici che per due punti su un piano passa una ed una sola retta e pure così non sei sicuro che non ci si infili anche un mezzo segmento che la retta riesce a nascondere da qualche parte”.

Era una sagoma il mio professore di matematica!

A proposito di Sodoma e Gomorra

Una bella famigliola quella di Lot, non c’è che dire! Meritava proprio di essere salvata dal disastro di Sodoma e Gomorra questa famiglia di giusti.

Diciamo, per la cronaca, che Lot era figlio di Aran che era a sua volta fratello di Abramo, un altro bel tipetto quest’ultimo, per più di un motivo.

“Disse dunque il Signore: «Il clamore che giunge a me da Sodoma e Gomorra è grande, e il loro peccato è gravissimo». (Genesi 18,20)

Ora, si può bene immaginare che tipo di clamore dovesse giungere al Signore da città in cui la maggiore occupazione dei suoi abitanti era quella di inchiappettarsi a vicenda e a tutto spiano.

Cori di:

“E di chi è questo bel paio di chiappe muscolose?”

“Ahi, che brucia!”

“E mettici almeno un po’ di burro, per Giove!”

“Sta’ buono che te lo devo fare tanto!

“Fammi vedere il tuo lato B e ti dirò chi sei”. Eccetera.

Il Signore, che non può tollerare tanto grido di dolore, decide di abbrustolire le due città.

Salva solo Lot, i generi, i suoi figli e le sue figlie, i giusti della città. Ma giusti una mazza! Secondo me, li avrebbe dovuti bruciare per primi. Il primo si lascia ubriacare dalle figlie come un coglione. Queste due verginelle, poi, se lo fottono che è una bellezza e così si lasciano pure ingravidare dal padre. Sì, ma lo fanno di notte, senza sollevare clamore, che pertanto non giunge alle orecchie del Signore. L’unica della famiglia ad essere punita è la moglie di Lot, che ha la sfacciataggine di voltarsi indietro mentre fuggono dalla città. Viene trasformata in una statua di sale. Va’ a capire.

Il Signore, sul far della sera, manda due angeli, come dire due ispettori perché accertino le intemperanze dei Sodomiti e quindi relazionino. Questi due, che, come vedremo, riescono a salvare il culo giusto perché sono dotati di superpoteri come l’uomo ragno, relazionano di merda.

Ma andiamo per gradi.

“Quando i due angeli giunsero a Sodoma sul far della sera, Lot era seduto alla porta della città. Appena li vide, si alzò, andò loro incontro e si prostrò fino a terra, dicendo: «Vi prego, signori miei, degnatevi di venire in casa del vostro servo: vi passerete la notte, vi laverete i piedi e domattina, appena alzati, continuerete il vostro cammino». (Genesi 19, 1,2)

Gli angeli si lasciano pregare un po’ e infine accettano di passare la notte in casa di Lot.

Questo fatto di lavarsi i piedi al mattino, appena svegli, mi suona quantomeno bizzarro. Io glieli avrei fatti lavare prima di andare a letto. Mah, altri tempi, altre abitudini.

Ma gli abitanti di Sodoma, vecchi e giovani, saputo che a casa di Lot c’erano nientemeno che due angeli, si ingrifarono a tal punto che si recarono alla porta della casa intenzionati a godersi l’intimità del posteriore di chi, essendo angeli, dovevano avere un culo che neppure Venere la callipigia se lo sogna. Poveretti, erano ignari del fatto che gli angeli non hanno sesso (e non potevano saperlo perché a tale conclusione si è giunti soltanto dopo secoli di medievali dispute e filosofiche contese; si sa, nel medioevo si impalava, si bruciava e si ammazzava di tutto, ma proprio non si sapeva come ammazzare il tempo) e pertanto non si possono ingrifare né al pensiero di darlo né a quello di averlo, il deretano. No, gli abitanti di Sodoma questo proprio non potevano saperlo. Vanno perciò da Lot e:

«Dove stanno i tuoi bellissimi ospiti? Dacceli perché ce li vogliamo inculare a più non posso.»

Consultando due Bibbie a tal proposito ho trovato testualmente scritto, in una: «Dove sono quegli uomini venuti da te questa notte? Mandaceli fuori perché ne abusiamo».(Genesi 19,5) Nell’altra: «… perché li vogliamo conoscere». Si sa: nella Bibbia c’è un solo modo di conoscere il prossimo: Abramo conobbe Sara e nacque Isacco. “Piacere, Abramo.” “Piacere, Sara”. Ed eccolo lì, Isacco.

Tra l’altro, a proposito della nascita di Isacco, la Bibbia recita: ”Il Signore visitò poi Sara, come aveva detto, e compì in lei quanto aveva promesso. Sara concepì e generò un figlio ad Abramo, già vecchio, nel tempo che il Signore aveva predetto”.(Genesi 21,1) … e compì in lei quanto aveva promesso. E cosa aveva promesso? Un giorno o l’altro vado giù e le do una bottarella a quella Sara lì e la faccio concepire. No, non può essere. Mi viene il dubbio che non sia stato il Signore ad operare questo miracolo. Vuoi vedere che quel buontempone di Giove, sotto le mentite spoglie del Signore, mi ha messo incinta la Sara? E sappiamo benissimo che quel cialtrone di Giove ne ha fatte parecchie di queste marachelle. Mah? Comunque sia, torniamo a noi.

Poiché presso quei popoli l’ospitalità è un valore sacro che va messo al di sopra di tutto, Lot, per salvare il culo dei suoi ospiti (anch’egli forse ignaro del fatto che gli angeli non ce l’hanno), che fa? dice: «No, i miei ospiti sono racchi. Sono magri, magri magri. Non mangiano da mesi. Io perciò li ho ospitati: per rifocillarli. Aspettate: io c’ho due belle figlie. Ve le do. Potete farne quello che volete. Sono vergini, non hanno conosciuto uomo. Non sono rotte a tutto, ma voi potete romperle…».
Ma gli abitanti di Sodoma lo interrompono: «Magari dopo. Ora vogliamo gli ospiti, e se non ti togli di mezzo, ci inculiamo anche te!» Testualmente “…e si dicevano: Quest’individuo è venuto qua come straniero e ora vuol farci da giudice: faremo a te peggio che a loro. E si spinsero con violenza contro di lui, Lot, e volevano abbattere la porta” (Genesi 19,9) Ammazza: erano allupati peggio di mandrilli in calore!

Allora gli angelici ospiti, che dall’interno della casa avevano ascoltato questo amabile colloquio, persero la pazienza, si tirarono in casa Lot, azionarono i loro superpoteri e accecarono tutti quelli che stavano alla porta ad avanzare quella oscena pretesa. E non finisce lì. Il Signore si incazza come un bufalo, aspetta che Lot e i suoi si allontanino dalla città e fa di Sodoma e Gomorra una sola grigliata: abbrustolisce case, palazzi, castelli, uomini, donne, bambini, cani, gatti, piante e tutte le cose che avessero un buco da qualche parte e una protuberanza sul davanti. «Allora il Signore fece piovere sopra Sodoma e sopra Gomorra fuoco e zolfo, da parte del Signore (sic! la ridondanza perché fosse ben chiaro quanto intensa era la rottura di palle del Signore) e distrusse quelle città e tutta la pianura, tutti gli abitanti delle città e ogni germinazione del suolo.» (Genesi 19,25) E non è tutto! Dopo il castigo di Dio, di cui parla la Genesi, i territori bruciati delle due città furono invasi dalle acque salse del Mar Morto, che si estese verso sud. Di quelle due città non rimase che il triste ricordo. Eh, quando ci si mette, non bada a spese. E voi mi venite a parlare di “Gay pride” di “Orgoglio omosessuale”? Grillini, Cecchi Paone, Pecoraro Scanio, Platinette, Margioglio e compagnia bella, che mi venite a parlare di matrimonio omosessuale?! Pussa via! Pensate piuttosto a procurarvi delle tute di amianto! Ci farete fare la fine dei polli allo spiedo!

Io poi non capisco perché anche i bambini e le donne, che potevano essere solo vittime della sodomitica corruzione.

Forse perché i bambini crescendo avrebbero appreso certamente quell’arte dai loro padri. E le femminucce? Bah. Ma forse è probabile che bambini e bambine non ne esistessero, poiché, date le tendenze contro natura dei Sodomiti, l’indice di natalità doveva essersi assestato da tempo sullo zero.

Dunque, il signore salva Lot e i suoi familiari perché sono gli unici giusti delle due città. Alla faccia dei giusti! Lot, come si è detto, offre le sue due figlie vergini a quei bruti arrapati: potete farne ciò che volete, neanche fossero mazzi di scarole che te le puoi cucinare come meglio ti aggrada! E questi manco se le filano: vogliono culi maschi. E va be’! De gustibus non est disputandum, cioè sui gusti non si sputa.

Lot poi si lascia ubriacare dalle due figliolette e queste due verginelle fanno del padre quel che sappiamo, senza che questi se ne accorga. Come, non se ne accorge? No, non se ne accorge, né prima e né dopo, perché era ubriaco. E perciò non perde la sua qualifica di giusto. E qui mi serve Beppe Grillo con un suo sonoro vaffa…

Dal nefando incesto nascono così due figli, Moab e Ben-Ammi. E già, perché dovevano dare origine ai Moabiti e agli Ammoniti. Che bei popoli! Possono vantare un’origine veramente gloriosa! E va bene: ogni popolo ha le origini che si merita.

E veniamo alla moglie di Lot. Di questa non si sa neanche il nome, almeno io non sono riuscito a reperirlo.

Ebbene, mentre la donna fugge insieme a Lot e alla sua famiglia verso Segor, in cerca di salvezza dal fuoco e dallo zolfo che si abbattono su Sodoma e Gomorra, si volta indietro e zac, si trasforma in una statua di sale. Gli angeli glielo avevano detto. Nessuno si volti indietro! La metafora è evidente: dimenticate le delizie di Sodoma che sono in abominio presso Dio e non ci ritornate più neppure col pensiero, altrimenti vi salo!

Qualche esegeta biblico avanza l’ipotesi che cito alla lettera:
”La incredula e disobbediente donna (la moglie di Lot) s’attardò a guardare indietro, contro la proibizione avuta, per rendersi conto se era vero quello che avevano detto i due angeli. Ma forse la donna non si volse solo indietro a guardare, ma volle ritornare a Sodoma; perciò fu punita per non volersi separare dalle città maledette.” Hai capito la mogliettina giusta del Lot! Che sentisse già nostalgia delle sodomitiche delizie? Mah!

A proposito dell’esegeta biblico, costui è un funambolo dell’interpretazione che si fa in quattro per dimostrare che quanto viene detto in alcuni passi del Vecchio Testamento ha una spiegazione logica. E, spesso così facendo, aggrava la situazione.

Certo che quella di Lot è proprio una famiglia di giusti e quindi andava salvata. E non voglio neppure immaginare che cos’erano le famiglie degli ingiusti che perirono puniti con fuoco e zolfo in quel di Sodoma e Gomorra!

A Sodoma e Gomorra gli uomini si dilettavano nel loro passatempo preferito: si mettevano in fila nudi, uno dietro l’altro e facevano così conoscenza tra loro. L’ultimo era il più fortunato perché andava esente dalla spesa del burro, la quale era di competenza di chi lo aveva dietro. Il primo invece… beh, lasciamo perdere, forse ci mettevano una donna.

Ma ora mi chiedo: e le donne, quelle omosessuali, le lesbiche, per intenderci? Vuoi che a Sodoma e Gomorra non ci fossero lesbiche? Le altre, quelle etero, beh, sappiamo che non disdegnavano… Il desiderio della moglie di Lot che tenta di tornare a Sodoma vorrà pur dire qualcosa. Ma quelle che non avevano interesse per gli uomini e preferivano deliziarsi omossessualmente, erano ritenute tra le giuste o tra le ingiuste? Non mi sembra ci sia menzione di lesbiche e tanto meno dell’uso di protesi falliche in orge lesbiche. Gli ispirati redattori della parola del Signore non ne fanno cenno. Momentaneo obnubilamento della divina illuminazione, o che altro? Mah!

Dice: ma sai, la morale di quei tempi non è la morale dei nostri giorni; allora sposare la sorellastra non era ritenuto incesto; sacrificare le proprie figlie per salvare il culo degli angeli era opera meritoria. Io, tra l’altro, conoscendo il tipo delle figlie di Lot, stento a credere che esse non si fossero sacrificate ben volentieri e con somma goduria!

Le figlie si fottono il padre non tanto per il piacere erotico quanto per il desiderio di avere figli, visto che tutti i maschi delle due famigerate città propendevano per il più sicuro sistema anticoncezionale esistente in ogni tempo, e poi, erano tutti morti nel mastodontico falò. Quelle due meschinelle avevano pure il compito di dare vita nientemeno che a due popoli. Che stiamo lì a sottilizzare, il padre, il figlio, il fratello: futti e strafutti chi Diu pirdona a tutti, come si filosofeggia tra i Siculi! Il fine giustifica i mezzi, per Giove!

Ah. sì?! E se poi io chiamo Beppe Grillo che vi sommerge con una trentina dei suoi sonori vaffa, che, dato l’argomento, non troverebbero luogo più consono, non faccio bene? Noi poi, uomini del terzo millennio, dovremmo trarre da tali bibliche letture motivo di avvicinarci all’Eterno? Grillooo!!!

Che male ti ha fatto la casalinga di Voghera?

Che male mi ha fatto? La casalinga di Voghera va abbattuta!

Ma va?! Perché?

Prima di tutto, quando la sento nominare, mi viene subito in mente Iva Zanicchi, e già solo per questo…

Ma che c’entra la Zanicchi che neppure è di Voghera?

E non lo so. Ma da quando, durante la campagna elettorale che portò per la prima volta il Silvio al governo, in una trasmissione televisiva, ebbe ad esclamare, proprio a proposito di quest’ultimo:

“Ma che ci costa? Noi proviamolo! Poi, se non va bene, lo cambiamo!” io, da allora, la abbino alla casalinga di Voghera, pur sapendo che non è di Voghera e non fa la casalinga!

E allora?

Una volta, parlo dello scorso inverno, presi un giorno di ferie e ne stavo approfittando per aggiustare la tapparella della cucina che s’era incastrata e rimaneva chiusa da una settimana, talché dovevo operare in cucina con la luce accesa anche di giorno.

Ancora mezzo assonnato, premo il tasto del televisore per qualche TG e mi preparo intanto gli arnesi occorrenti alla bisogna. Il mio televisore è uno di quelli del vecchio stampo e ci mette un po’ di tempo a riscaldarsi. Mi ero ormai pure dimenticato di averlo acceso, quando sento squillare il telefono. Alzo la cornetta, ma il telefono mi dà libero. Riattacco, e lo sento ancora suonare. Poi mi accorgo che non è il mio telefono a squillare, ma è Magalli dal televisore che chiama un concorrente a non ricordo più che tipo di gioco imbecille.

Quando una voce risponde “pronto” allo squillo del Magalli, resto quasi imbambolato a guardare il seguito della cosa.

Magalli: - Pronto. Qui è Magalli... Lei è collegata con la trasmissione (mi sono scordato pure il nome... Piazza pulita... Piazza d'armi... insomma una piazza del genere) Chi è al telefono?

Voce femminile: - Sono io. Complimenti per la trasmissione! ( Che te possino ammazzà!)

L’assistente di Magalli (devo dire, una bella trifolona): - Grazie, signora. Qual è il suo nome?

Voce: - Sono Annamaria!

Magalli: - Ah, Annamaria. Che bel nome! (Che bel nome Annamaria?! Mah!) E da dove chiama?

Annamaria: - Da Voghera. (Eccallà!)

Magalli: - Ah, da Voghera! Bene! (Se non era Voghera, mica tanto bene!) E cosa fa di bello nella vita?

Casalinga di Voghera: - Sono casalinga. (E che può fare di bello nella vita una che alle 9 e tre quarti sta a casa? O la casalinga o sta in ferie per aggiustare la tapparella della cucina, no?)

Mag.: - Guardi, signora. Lei può vincere il nostro montepremi che assomma a 300 euro, ma…

CdV. : Uh, che bello! Così mi compro un ferro da stiro nuovo e pago una rata del mutuo casa! (Una rata del mutuo casa con 300 euro? E dove vive la signora in un pollaio?)

Mag.: - Sì, Annamaria, ma lei prima deve rispondere ad una semplice domanda. Se la risposta sarà quella giusta, vincerà il nostro montepremi, che non è molto, ma è pur sempre una bella cifretta.

CdV: - Ah, una domanda? E mi date un aiutino? (Madonna, eccola là con l’AIUTINO!)

Mag.: - E io ancora devo farle la domanda , Annamaria. Lei già vuole l’aiutino?

CdV: - Ah…sì…, è vero. Ha ragione. Complimenti per la trasmissione!( Che t'aripossino..!)

Mag. : - Grazie, Annamaria. Annamaria, stia attenta! Lei ha un minuto di tempo dopo che le ho fatto la domanda. Se risponde entro questo tempo, il montepremi sarà suo. È pronta?

CdV :- Io… sì…sono pronta. Dio, che emozione!

Mag. : - Dunque, un minuto di tempo si ricordi, Annamaria! Questa è la domanda: Di che colore era il cavallo bianco di Napoleone? Un minuto di tempo, via!

CdV:- Un minuto… sì… il cavallo di Arpagone..?

Mag. :- No, Annamaria, non di Arpagone. Di Napoleone! Guardi, le ripeto la domanda. Ma faccia presto a dare la risposta. Il tempo passa! Di che colore era il cavallo bianco di Napoleone? Di Napoleone, Annamaria!

CdV. : - Ah … sì… di Napoleone… e posso avere un piccolo aiutino? (Mo l’AIUTINO lo vuole piccolo. Si è ridimensionato il fatto! Una picconata nella schiena, altro che aiutino ti darei!

La notte successiva faccio questo sogno: sto sul molo del porto della mia cittadina. Ad un tratto sento gridare: “AIUTINO! AIUTINO! E vedo Iva Zanicchi che è caduta in acqua, non sa nuotare e sta per affogare e grida


AIUTINO!

Che faccio glielo do l’aiutino? Ma si, va! Strappo il tappo di sughero dalla bottiglia di vino di un portuale che fa colazione lì, nei pressi, mi avvicino il più possibile sul molo al punto in cui sta annaspando Iva, la casalinga di Voghera e: - Tie', beccati l’aiutino. E le lancio il tappo di sughero! Poi mi sveglio di soprassalto col cuore che mi va a mille! Sono le quattro e un quarto e non riesco più a prendere sonno. Maledetta la casalinga di Voghera!!!

Come è finito il fatto della domanda, mi chiederete?

Niente, il minuto è passato e la casalinga di Voghera non ha dato la risposta. O l’ha data non mi ricordo …il colore che ha detto… se non mi sbaglio ha detto, paonazzo… verde a pallini blu… non ricordo. Alla fine Annamaria è tornata delusa e amareggiata al suo ferro da stiro. Di lì a poco ci è rimasta attaccata, fulminata da una scarica elettrica da 220 volt. Ah! Meno male! Una casalinga di Voghera in meno che non potrà più chiedere l’AIUTINO!

La banca poi, per recuperare il debito del mutuo casa di Annamaria, ha messo all’asta il pollaio.

Ode alla cassa da morto

O cassa da morto, tu fra tutti sei l’ultimo dei letti,

tu che al canto dell’upupa ti diletti,

e nella fatal quiete fai da cappotto,(1)

ed io a pensarti me la faccio sotto,

dimmi, di grazia, deh, dimmi perché

solo a vederti faccio le corna, tiè!

e poi, furtivo, eppure a gesti netti,

mi do una grattatina ai cosiddetti?

Forse perché, libidinoso ossesso,

tu vuoi ch’io giaccia teco in un amplesso?

Tu, dunque, agogni a sordidi piaceri,

mentre d’intorno a me ardono i ceri?

Tu del mio corpo sei voglioso amante,

necrofilo d’aspetto orripilante!

Tu vuoi alla salma imporre l’entusiasmo

onde poter goder l’estremo orgasmo?

Illuso! Inerte giacerò, le braccia in croce,

sordo ai tuoi desiri e alla tua voce!

E la cassa da morto mi risponde,

in forma prosaica e non in rima:

“Ma tu quale voglioso amante? quali desiri?

Tu mi fai schifo!

Hai da vede’ sì che piacere

contemplare te in gramaglie e assistere

al liquefarsi delle tue frattaglie.

Siente, sai che vuo’ fa? Famme ‘o piacere:

opta per la cremazione e… bonasera!

O cassa da morto,

com’è mortificante il tuo destino!

Un napoletano in America

Questa mi è stata raccontata dal mio tabaccaio che fa la spola tra Napoli e Broccolino.

Una famiglia di napoletani venuta da poco in America ad abitare al secondo piano di un edificio di Brooklyn.

Al terzo piano abita un italoamericano di terza generazione. Questo spesso usa trascinare mobili sul pavimento, senza curarsi della signora di sotto che ha i nervi a fior di pelle.

Una sera la signora in questione, al culmine di una crisi isterica, obbliga il marito ad andare dal trascinatore di mobili e contargli il fatto suo.

L’uomo, con una santa pazienza, bussa alla porta del malfattore e in qualche modo gli fa capire se per piacere, quando deve trascinare i mobili, cercasse di farlo alzandoli dal pavimento.

Il tizio gli risponde:

FUCK YOU!

Il marito torna a casa e la moglie gli chiede:

C’ha ditto?

Il marito le risponde:

Ha ditto ca nun ‘o fa cchiù.