sabato 11 luglio 2009

Cose che capitano ai morti

Ho saputo dal mio barbiere.

Qualche volta capita, a questa categoria di artigiani, di essere chiamati per fare la barba ad un morto. Si sa, il defunto vuole presentarsi al cospetto di chi lo attende nell’aldilà nel suo migliore “aplomb”.

Il trapassato fresco fresco viene vestito del suo abito più elegante, possibilmente quello da cerimonia. Deve presentarsi all’altro mondo con le pieghe dei pantaloni perfettamente stirate, una camicia candida di bucato, una cravatta di seta, meglio se a farfalla, giacca possibilmente a doppio petto.

Sappiamo che rituali simili vengono celebrati fin dalla notte dei tempi.

Così vestito in tutta la sua eleganza, volete che si presenti al giudizio finale, davanti alla commissione per l’esame di laurea in “Vissutologia” con la barba di due o tre giorni sul viso? Vi immaginate quale impressione negativa si farebbero di primo acchito i commissari di esame di lui che porge al presidente della commissione la sua tesi di laurea dal titolo “Ecco come ho tentato di non farmi prendere per il culo dalla vita, ma non ci sono riuscito” mentre il suo viso, ricoperto di ispida peluria, farebbe intuire un’esistenza trascorsa tra sciatteria e disordine? In tal caso, non potrebbe certamente aspirare al 110 e men che mai al bacio accademico.

E allora, prima di tutto, una bella insaponata al viso e l’opera accurata di un rasoio manovrato da un esperto barbitonsore.

E qui sorge il problema, mi avverte il mio scrupoloso figaro, mentre mi stacca le basette e, con sguardo indagatore, scruta il mio viso dalla distanza idonea per appurare se le suddette basette risultano di pari lunghezza.

Come fare ad eseguire una rasatura a regola d’arte del cadaverico viso?

Il defunto ha esalato l’ultimo respiro, per cui di aria nei polmoni non se ne ritrova più. Non si può quindi pretendere che egli gonfi le gote affinché il pelo si rizzi e venga così reciso alla radice. Tra l’altro le guance risultano anche flosce e smagrite per le sofferenze dell’agonia. Allegria!

E allora?

Una bella domanda, non c’è che dire!

All’angosciata espressione che si dipinge sul mio volto in cui il barbiere di qualità legge l’ansioso desiderio di conoscere la risposta, egli contrappone un malizioso sorrisetto, come di chi sa il fatto suo e la sa lunga più del diavolo. Sempre con quel sorrisetto sulle labbra, che per la verità mi indispettisce un pochino, mi lascia friggere qualche secondo nella mia curiosità, e poi, finalmente, mi gratifica.

Una pallina da ping pong!

Una pallina di ping pong? chiedo esterrefatto mentre il marasma prende possesso dei pochi neuroni che abitano all’interno del mio cranio.

Vede, mi spiega: nel mio bagaglio di attrezzi per interventi esterni, io, tra forbici, tubetto di sapone, spazzole, etc, ho sempre qualche pallina di ping pong. La introduco e la posiziono con cura nella bocca del cadavere, aperta peraltro non senza qualche difficoltà seppur da mani esperte come le mie, ed ecco che mi ritrovo davanti una guancia gonfia e ben stirata con peli irti che implorano “tagliaci, tagliaci, che più rizzati di così non si può.”

Restiamo muti per una buona manciata di secondi, io sentendomi una nullità di fronte a tanta genialità, lui godendosi il trionfo di avermi ridotto ad una pezza pure in tutta la mia sapienza da intellettuale.

Poi mi riprendo perché si fa strada nella mia mente una certezza.

Ma come potrà mai fallire l’azienda Italia, se ci sono a disposizione geniali artigiani come il mio barbiere? Quand’anche tutto dovesse andare male, i barbieri e una pallina da ping pong la salverebbero!

Vangelo secondo ignoto

I Vangeli ci parlano delle traversie che dovette subire Gesù Cristo per redimere il genere umano dal peccato e tutti, più o meno, iniziano da quando il Redentore vide la luce su questa Terra o giù di lì.

Nessun vangelo, neppure tra quelli apocrifi, parla di ciò che era avvenuto precedentemente nell’alto dei Cieli e precisamente di ciò che dovette fare il Padre per convincere il Figlio a farsi una passeggiatina di 33 anni da queste parti.

Io ho trovato un simile vangelo di autore ignoto.

Il Vangelo secondo Ignoto. Ecco cosa narra.

Da un po’ di giorni il Travaglio era presso Dio. Il Travaglio era Dio, il quale andava avanti e indietro a grandi passi nervosi per tutto il Paradiso, scompigliando le nuvolette e costringendo i beati che le abitavano a indossare il paracadute e a reggersi saldamente alle punte di qualche stella fissa, per non rischiare una rovinosa caduta e ritrovarsi per una seconda volta in questo letamaio di Terra.

Sembrava non trovare Pace, assorto com’era in cupi pensieri.

Ad un tratto tutto il Paradiso risplendette di luce eterea perché il Padreterno aveva avuto un’idea: aveva trovato la soluzione al problema che lo assillava.

I beati furono contenti, si tolsero il paracadute e si rassettarono le penne delle alucce; quindi si misero a cercare la cetra che, nel trambusto, s’era perduta nella nuvolaglia.

A passi decisi l’Altissimo si recò dove sapeva sicuramente di trovare il Figlio. E infatti lo trovò all’officina “Primo dicembre” di Sant’Eligio, protettore dei meccanici. Il ragazzo stava truccando ulteriormente il motore della sua 500 targata NA. Napoli..? Nooo, che Napoli?! Nazareth; ma nessuno sapeva ancora perché portasse la targa di quel paese. Lo sapeva solo il Boss, che conosceva il passato, il presente e il futuro. Con quella macchina il ragazzo era solito scorrazzare a tutta velocità per la Via Lattea.

Il Padre lo chiamò:

- Guagliò, esci un momento da sotto a questo catorcio e stammi a sentire.

Gesù uscì da sotto la 500 con la faccia tutta nera di grasso e pulendosi le mani ad uno straccio, si avvicinò al Padre, pensando: “Eccolo qua! C’ha la faccia illuminata. Sarà venuta qualcun’altra delle sue brillanti idee a ‘stu viecchio ‘nzallanuto.”

Tuttavia si dovette mostrare mansueto, perché da un po’ di tempo gli aveva chiesto in regalo un Ferrarino e sperava che prima o poi il Vecchio, che glielo negava, si decidesse a farglielo avere.

- Che vuò? Nun me fa’ perdere tiempo, jamme!

Il Padre, circondandogli le spalle con un braccio, senza temere di sporcare di grasso la candida veste, tanto santa Veronica, la lavandaia, quando le veniva chiesto di lavarla, saliva al settimo cielo, lei che era stata destinata solo al quarto, zona lavanderia, e gli disse.

- Senti un po’. Che ne diresti di fare una passeggiatina sulla Terra?

- Addò? chiese il ragazzo sorpreso. Su quel pianeta inquinato? Ma tu fusse pazzo?

- Non è ancora tanto inquinato. Andiamo, una brevissima passeggiata. ‘Na trentina d’anni.

- Oi pa’, si gghiuto una altra volta a casa di Noè, eh? A chillo le piace ‘o vino, a te manco ti dispiace. Insomma, te si’ ‘mbriacato, n’ata vota?

- Dai, faccio sul serio, continuò il Padre. Sai com’è, c’ho uno scrupolo di coscienza. Ho sbattuto quei poveretti su quel pianeta solo perché mi avevano rubato una mela. Mo stanno ‘nfranzesati di peccato e Satana sta lì lì per farne un sol boccone. Andiamo a redimerli.

- Eh, sì. Hai fatto l’inguacchio, e mo vorresti rimediare. “Faccio l’uomo, faccio pure la donna! Vedrete che capolavoro!” Hai fatto chella monezza di Umanità! Ma lascia che se li magnano i cani a chilli quatto scurnacchiati!

- No, no, non dire così, lo pregò il Padre. Mi sento responsabile. Ché gliela dobbiamo dare vinta a quel cornuto ribelle?

Il Figlio meditò un poco; anche a lui era antipatico quell’angelo comunista che il Padre aveva scaraventato all’Inferno.

- E quando siamo scesi sulla Terra, che cosa dovremmo fare? domandò il ragazzo.

Il Padre imbarazzato, si grattò un po’ il triangolo sulla testa prima di rispondere.

-Veramente… ci andresti… solo tu.

- Papà, tu nun stai bbuono. Me vuò fa’ scendere sulo a me ‘mmieza a chella marmaglia?

- No, stai tranquillo. Io da qua ti controllo. Non ti abbandono mica. Poi trent’anni o poco più di vita laggiù… che vuoi che siano? Passano in un amen. Vedrai, ti divertirai. C’è pure la Maddalena, capisce a mme! Poi tu sai fare quei bei giochetti di prestigio. Resuscitare un morto, moltiplicare i pani e i pesci, trasformare l’acqua in vino. Sbalordirai tutti. Ti divertirai. Solo, alla fine …eh … sarà un po’ fastidioso; ma ‘na cosa di qualche ora.

- Comme ‘na cosa di qualche ora? Perché alla fine… che mi succederà di fastidioso?

_ Ma sì. Cose da niente: qualche scudisciata, un po’ di spine sulla fronte. ‘Na crocifissioncella?

- Oi pa’, ma tu si’ proprio ‘na carogna!? Ma comme, manderesti tuo figlio a morì ammazzato in quel modo?

- Per amore, figlio mio, solo per amore. Oh, e dimmi un po’ una cosa. Io, la guida del Ferrarino la vedrei a destra, che ne dici? Così mi porti un po’ a passeggio per l’universo, io seduto a sinistra e tu alla guida, alla mia destra. Jamme, fai questo sacrificio! Che ti costa? Non è mica tutto questo dolore. Tu sai fare pure quei bei giochi di prestigio; ne fai qualcuno per distrarti, un po’ fai finta di soffrire; pensa che, quando è finito, ti aspetta il Ferrarino. Poi hai l’eternità davanti per godertelo, il Ferrarino. Che sarà mai? Un’oretta, un’oretta e mezza di passione e poi sali su e siedi alla mia destra, nel Ferrarino! E così potrai scorrazzare a tutta velocità tra le più lontane galassie, e salviamo il genere umano dalle grinfie di quel satanasso di un marxista-leninista di angelo ribelle.

- Papà, famme capì. Qua tutti dicono che sei Onnisciente, Onnipotente, Onnipresente e… nun saccio che altro Onni… Ma possibile che, con tutta questa Superscienza, con i Superpoteri che ti ritrovi, non sai trovare un modo nu poco cchiù cristiano di risolvere il problema, per salvare quei figli di buona donna sulla Terra? chiese il ragazzo.

- Vai, vai. Poi, quando torni ti spiego. Adesso non dobbiamo perdere più tempo; è l’anno zero, è il 24 dicembre e sono le 11,35. Tieni meno di mezz’ora per lavarti e prepararti. Io intanto vado a consigliarmi con sant’Eligio per sapere come procurarti il Ferrarino. Tu lo vuoi rosso, eh? A me non è che piace tanto questo colore, ma se a te piace, sia fatta la tua volontà.

E Gesù, a sentire parlare del Ferrarino rosso, che si sognava pure la notte, ma un po’ pure per accontentare quel povero Vecchio che aveva i suoi scrupoli di coscienza, si fece quattro conti, decise che non avrebbe dovuto dimenticare la valigia con i giochi di prestigio, e accettò.

Il Padre, tuttavia, sapeva benissimo che neanche il sacrificio del Figlio avrebbe mai reso l’Uomo migliore; ma volle che fosse attuato quel progetto affinché non si dicesse che nulla aveva fatto per salvare la sua Creatura dalla Selva oscura.

Insomma, il Vangelo secondo Ignoto sarebbe una specie di antefatto a tutti gli altri vangeli.

lunedì 6 luglio 2009

Che fantasia, questi nobili!

Lo scorso fine settimana ho partecipato ad un veglione in maschera organizzato dalla contessa Sofia Sinisgalli Perdifumo nella sua sontuosa magione di Cava de’ Tirreni.

Unico inderogabile obbligo: venire mascherati.

Ho rimediato un vestito da D’Artagnan e mi sono presentato alla festa.

Quanta bella gente! Tutti con almeno tre quarti di nobiltà. Io solo, ignobile fra i nobili. Ma donna Sofia, mia vicina di ombrellone sulla spiaggia di Santa Maria di Castellabate in villeggiatura, dove è proprietaria della più bella casa del villaggio, mi ha fatto sapere che mi aveva invitato perché mi riteneva nobile d’animo. Bontà sua!

E che fantasia hanno questi nobili! Ce ne sono ancora tanti, per fortuna. Il duca Massimiliano d’Isernia è venuto vestito da caterpillar e la moglie ha fatto vedere a tutti come si metteva in moto.

Il baronetto Eugenio era vestito da tanica di benzina, però, siccome è di famiglia nobile ma decaduta, la tanica era vuota.

A festa già iniziata da un bel po’, si sono presentate due signore un po’ mature, ma ancora piacenti. Tutte e due completamente nude. La prima aveva solo una ciliegina candita sull’ombelico.

- Sono una cassatina, ha detto.

L’altra, anch’essa nuda, aveva una cucchiaiata di panna tra le chiappe.

- E tu? le è stato chiesto.

- Sono uno sciù, ha risposto

Ma li mortacci vostri, co’ ‘sto freddo! ho pensato.

Non c’è che dire: sono fantasiosi questi nobili.

Poi, proprio sul più bello, quando una deliziosa giovane pin up mi stava invitando ad un ballo del mattone, ma in una stanza solitaria, in un’ala estrema del castello … mi sono svegliato.

Mannaggia ‘a morte!

Aspettiamo un bambino


Albicocco

Sì. Mia moglie ed io aspettiamo un bambino!

Siamo seduti sotto l’unico frondoso albero di albicocche del nostro giardino. Ci teniamo per mano. Lei ha il respiro leggermente affannoso.

Quante foglie sull'albero! Ormai sono rimasti gli ultimi pochi frutti. Spande una piacevole ombra; la sua chioma ci dà una deliziosa frescura e ci nasconde allo sguardo di chi viene da fuori.

A tratti ci guardiamo negli occhi, io e mia moglie. Io leggo nei suoi un’aspettativa trepida. Lei nei miei legge una ferma certezza. È un maschio! Verrà. Sarà bello o brutto? Che ci importa?! Ci sembra di conoscerlo. Saprà mai con quanta ansia lo stiamo aspettando? Forse non potrà mai immaginarla!

Verrà presto.

Non manca molto tempo.

Di solito viene sempre a quest’ora a rubare le albicocche dall’albero. C’ho un badile a portata di mano. Un badilata in faccia, gli devo cancellare i connotati, per giove!

Questioni di lingua - "Qual'è" o " Qual è"?

Halfatrackfido3 mi ha inviato una e-mail sul mio sito, rimproverandomi perché in alcuni dei miei posts (mi raccomando la esse finale, perché aoh! l’inglese lo dobbiamo rispettare!) io scrivo QUAL È senza apostrofo. Mi ha detto che non devo strapazzare la nostra bella lingua. E io gli rispondo.

Caro halfatrackfido3 (ma chi sei, nu cane semicingolato?!),

QUAL È si scrive senza apostrofo. Ti puoi fidare! Mi sono laureato, (un po’ in ritardo, è vero) due anni fa in lettere classiche con 110 su 110.

Mio signò, io sono il re dell’anacoluto, il principe dell’ossimòro. Io, il periodo ipotetico di terzo grado, lo tiro fuori dalla consecutio temporum, lo spoglio, lo piglio per il collo, lo sbatto di qua e di là, ci aggiungo altri 87 gradi, lo piego (87 +3= 90) e non ti descrivo che cosa gli faccio perché sono un gentiluomo.

Ce l’hai presente l’antitesi? Io me la metto come cravatta. Ne cambio sette al giorno. Nell’armadio ne tengo un campionario che neppure Valentino…

Col troncamento e l’elisione vado in vacanza ogni estate a Santa Maria di Castellabate. E come tratto io il doppio genitivo, modestamente nessuno si permette di farlo. Halfatrackfido3, lo tratto male, perché m’è nu poco antipatico. Cioè, prima lo adulo, me lo coccolo un po’ e poi lo sbatto in cucina a lavare i piatti. E che ci posso fare: tra noi non corre buon sangue!

Con l’enjambment, l’iperbole, e la perifrasi io ci gioco a scopone un sabato sì e uno no e sistematicamente li pelo ad uno ad uno.

La sinestesia, poi, la uso quando non riesco a dormire. La sera me ne prendo quindici gocce e dormo come un angioletto.

Con l’anfibologia mi ci racconto le barzellette sporche.

Ai trapassati prossimo e remoto, invece, faccio dire una messa ogni mese e, ogni domenica mattina, porto un mazzo di fiori e due lumini al cimitero fin dal giorno in cui sono trapassati.

Uuuuh, non ti dico poi quello che faccio il sabato sera, quando non gioco a scopone, dalle 21 alle sei del mattino con l’aggettivo sostantivato, il passato remoto del verbo cuocere e il complemento di causa efficiente. Andiamo in discoteca. È vero, il passato remoto del verbo cuocere è un po’ anzianotto, essendo passato, ma ha il suo fascino, lo esercita specialmente sulle diciottenni. Insomma non pregiudica l’acchiappanza, anzi. Sono orge, amico bello, baccanali!

Io, la grammatica me la sono sposata e la sintassi ce l’ho come amante! E non voglio andare oltre perché ho detto anche troppo. Ti ho voluto solo dimostrare che di me ti puoi fidare. Stai tranquillo, halfatrackfido3: QUAL È si scrive senz’apostrofo.

domenica 5 luglio 2009

Oi dialogoi

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(ovvero: un po’ di filosofia e dintorni, ma più dintorni che filosofia)

Aristotele teneva una lezione… no, non Onassis, quello di Jacqueline; l’altro, quello nato a Stagira qualche po’ di tempo prima. Onassis era miliardario, figurati se poteva pensare alla filosofia. Lo stagirita invece era un povero cristo e da qui la necessità di prendersela con filosofia.

Quindi dicevamo, il buon Aristotele teneva una lezione ad un gruppo di allievi ai quali andava dicendo:

- Ragazzi, ho scoperto che Socrate è mortale e vi dimostrerò come sono arrivato a questa ineccepibile verità.

Nessuno degli allievi osò replicare: Maestro, ma c’è bisogno di dimostrarlo? Ci ha pensato già lui a farlo quando, una settantina di anni fa, s’è bevuta la cicuta! No, nessuno osò fargli notare l’inutilità della sfacchinata cui si era sobbarcato, perché ante Christum natum c’era rispetto per chi insegnava!

- Allora seguitemi con attenzione, disse Aristotele. TUTTI GLI UOMINI SONO MORTALI, SOCRATE È UN UOMO, SOCRATE È MORTALE.

Quella decina di allievi rimase in silenzio per un attimo e poi tutti e dieci fecero la faccia dei bambini che fanno ooohhhh. Di lì a poco, tutti a piangere la morte di Socrate.

La cosa era stata ascoltata anche da un certo Descartes, per gli amici Cartesio, il quale non volle intervenire ed obiettare in presenza degli allievi, perché, a quei tempi, anche i maestri si rispettavano tra loro.

Ma due giorni dopo, acchiappò Aristotele per la collottola e gli disse:

- Neh, Aristò, e tu mica me la conti giusta!

- Ah, no? replicò Aristotele.

- Eh, no, parbleu! Tu mi dici: TUTTI GLI UOMINI SONO MORTALI, SOCRATE È UN UOMO, SOCRATE È MORTALE, e con questo sillogismo credi di aver risolto i misteri dell’universo. Ma vediamo se il tuo metodo gnoseologico è valido. Se io ti dico: I RE DI ROMA SONO SETTE, ROMOLO È UN RE DI ROMA, ROMOLO È SETTE ? Eh, come la mettiamo?

E ancora: tu mi dici: TUTTI GLI UOMINI SONO MORTALI, ed io fino a qua te la faccio passare, anche se potrei già obiettare. Ma quando mi dici: SOCRATE È UN UOMO, e allora mi si rintorcono le budella, perché tu mi passi da “SOCRATE È” a “UN UOMO” senza neppure dire ”volete favorire?”.

Aristotele, che si andava arravogliando di perplessità in perplessità, gli rispose:

- Com’è? Non ho capito.

E Cartesio: - E sì, perché tu prima di affermare che è un uomo, mi devi dimostrare che SOCRATE È.

E Aristotele:- Oh cacchio, non ci avevo pensato! – e si mise a piangere.

Ma Cartesio subito prese a consolarlo:

- No, no, stai sereno, perché che “SOCRATE È” te lo dimostro io-

Aristo: - Ah, sì? E come?

Cartesio - Ecco qui. SOCRATE PENSA, QUINDI È.

E Aristotele smise di piangere, sorrise rassicurato e ringraziò soddisfatto il suo collega.

Ma sfortunatamente per i due, avevo ascoltato la loro conversazione, intervenni, li presi per la collottola e dissi loro:

- Neh, giovanotti! Fermate la carretta! Dove andate con il ciuccio?! Ascoltatemi un momento. Cartè. Tu dici IO PENSO QUINDI SONO. E che correlazione di causa ed effetto c’è tra “il pensare” e “l’essere”? Ugualmente valido sarebbe dire “IO DEFÈCO QUINDI SONO”. Ti pare?

E Cartesio inorridito: - E tu vuoi mettere la volgare azione del defecare, con la nobile e sublime attività del pensiero?

Ed io: - Cartè, ma tu hai mai sentito “pensare” tipi come Mario Borghezio, Roberto Calderoli, Umberto Bossi e altri simili individui di quella razza? Quelli, quando pensano, defècano e non c’è proprio nessuna differenza tra le due attività. Ascoltate me: qui non siamo sicuri di niente. In questo casino di mondo, già se dici “IO” hai detto una cazzata. Figurati quando dici “IO PENSO” e giungi perfino a dire “QUINDI SONO”! Hai detto un cumulo di cazzate!

- Eh, no! - intervenne Aristotele. IO SO DI ESSERE e se sono, ci deve essere Qualcuno che mi ha fatto essere. Di questo sono sicuro. E ne erano sicuri anche Socrate e Platone.

Ed io: - Tu, Socrate e Platone affermate che, se esiste il creato, deve esistere il creatore. Di qui non si scappa. E io dico: E il creatore chi l’ha creato?

Aristotele: - Nessuno. Il creatore è il motore immoto.

Ed io: - E com’è? La legge che, se qualcosa esiste, deve esistere il creatore, vale solo per il mondo di quaggiù? E che facciamo: a chi figlio e a chi figliastro? La legge è legge ed è uguale per tutti! Che è? Forse il creatore è amico di Berlusconi, o forse è proprio Berlusconi, che si fa le leggi per i cacchi suoi, che valgono solo per lui? E poi, sei sicuro che il creato esiste?

Aristotele: - Eh, ma noi siamo qui. Allora chi siamo?

Ed io: - No, tu non ti devi chiedere chi siamo, ma che cosa siamo! Sei sicuro di essere cosa creata? Di esistere? E che vuol dire esistere? Vuol dire forse essere stati creati? E chi l’ha detto?!

Sentite me, più sopra, verso piazza Dante, c’è il Caffè di Diodati. Fa un caffè e una sfogliatella che sono ambrosia e nettare degli dei. Venite con me, offro io, vi faccio deliziare. Nun date retta ‘a filosofia. Mentre vi mangerete la sfogliatella e berrete il caffè di Diodati, veramente potrete dire con sicurezza: IO ESISTO!

... una ed una sola ,,,

Il mio professore di matematica delle superiori ci teneva molto che recitassimo le definizioni senza omettere neanche una virgola. Diceva che, nelle definizioni matematiche, tutti i termini hanno una precisa funzione e non avremmo mai trovato, in nessuna di esse, una parola superflua, né una mancante. La quale caratteristica serviva anche a promuovere il nostro apprendimento di un corretto modo di esprimerci in lingua italiana.

“Per due punti su un piano passa una ed una sola retta”.

E se provavi a dire “Per due punti su un piano passa una retta” Oppure “una sola retta” lui interveniva e sottolineava “una ed una sola retta”.

- Professò, gli domandai un giorno, ma se uno dice “una retta” , non basta?”

Mi rispose: “ Figlio caro, in tutto il mondo basterebbe; a Napoli, no! A Napoli si dice “una” ma poi se ne infila sempre qualcun’altra di straforo e ne riescono a passare almeno un paio. Sai com’è? a Napoli siamo soliti buttarla sul pietoso, per cui la retta dice: Una? E su, qui c’è mio cognato che è un invalido del lavoro. Facciamo passare pure lui.

- No! Una ed una sola!

- Ma mio cognato non è neanche una retta, è nu miezo segmento. Prometto, non darà fastidio. Facciamo passare pure lui.

-Una ed una sola, ho detto!

A quel punto mette mano alla tasca e tu sai bene come vanno le cose.

Tu non ti preoccupare, dici che per due punti su un piano passa una ed una sola retta e pure così non sei sicuro che non ci si infili anche un mezzo segmento che la retta riesce a nascondere da qualche parte”.

Era una sagoma il mio professore di matematica!